n.114: Si intitola “How the energy transition will reshape geopolitics” e prefigura quattro scenari geopolitici connessi ai cambiamenti climatici
1) Col primo, gli Stati membri delle Nazioni Unite si metterebbero d’accordo per mantenere l’aumento
della temperatura media del pianeta entro 1,5 °C rispetto all’epoca pre-industriale, con l’effeto di
cambiare radicalmente il paradigma energetico entro il 2040, non più fondato sul fossile. Non esiste
alcun ostacolo tecnologico che impedisca questo scenario. Gli ostacoli sono solo politici (di assenza di
volontà e di ignoranza diffusa tra elettori ed eletti).
2) Il secondo ipotizza un rapido (praticabile) salto tecnologico che metterebbe i combustibili fossili
fuori mercato, a vantaggio delle fonti rinnovabili. Non è necessario che, a questo punto, gli ostacoli
politici debbano essere rimossi. Basterebbero le forze di mercato. In questo contesto, si potrebbe
persino avere un inasprimento della “guerra fredda delle tecnologie pulite”, con il vecchio Occidente
(USA, ma soprattutto EU) contrapposto al nuovo Oriente (Paesi arabi, Cina, Russia).
3) Il terzo scenario è negativo.A permanere sarebbe il “Dirty Nationalism”, un nazionalismo pigro e
incosciente che salva il presente poco ecologico della permanenza del fossile, magari nelle forme
apparentemente meno aggressive del gas.
4) Nel quarto, il declino dei combustibili fossili avverrebbe con una tale lentezza, da portare la
temperatura media del pianeta ben oltre quanto indicato dal Report 2018 dell’IPCC.
Lo studio contribuisce, in definitiva, ad acquisire due profili di geopolitica molto rilevanti:
- quanto sia ormai del tutto inconcludente l’affidamento al mercato delle questioni climatiche in termini
di “regolazione” delle soluzioni “efficienti” e quanto importante, invece, stiano tornando ad essere la
politica e il coraggio politico della verità;
- quanto miope si stia rivelando l’insistenza, soprattutto europea, della dipendenza dalle risorse fossili
(soprattutto gas) dai paesi non democratici, condizionati dalla Russia, con l’effetto di alimentare quel
“Dirty Nationalism” che fa male all’integrazione europea, già fiaccata dalle delusioni interne delle sue
politiche.