Categoria: Diritto umano al clima

n.22:”Altra delinazione significativa del diritto umano al clima riguarda il rispetto dei saperi tradizionali – in ragione della loro vocazione all’adattamento biocentrico (si pensi tanto ai saperi nativi delle popolazioni indigene quanto ai sapei contadini e montanari delle nostre terre) – nella pari dignità sul fronte del c.d. FPIC (Free, Prior and Informed Consent)”

Culture, law, risk and governance: contexts of traditional knowledge in climate change adaptation. https://link.springer.com/article/10.1007/s10584-013-0850-0?

n.20:”Nell’era della transizione energetica, il ‘diritto umano al clima’ si declina non solo in termini sostanziali di protezione e tutela contro l’inerzia pubblica e privata ‘catturata’ dagli interessi economici fossili (come prevalentemente rivendicato nelle “Litigation Strategies” davanti alle Corti).

Esso opera anche in termini procedurali di autonomia e partecipazione nelle scelte energetiche connesse ai propri bisogni. In tale prospettiva, il “diritto umano al clima” coincide con il c.d. “diritto all’energia a Km0”, ossia con la volontà di non dipendere da Stati e gruppi di produzione e pressione, interessati a imporre scelte di approvvigionamento energetico, funzionali non...

n.19:”La desertificazione come forma essa stessa di ingiustizia climatica è un tema drammatico di lesione dei diritti umani nella loro dimensione relazionale con gli spazi e le loro forme di vita.”

La tematizzazione dei diritti semplicemente come “autodeterminazione” individuale (tipica del razionalismo neoliberale), dimentica che anche l’essere umano è un soggetto “ecologico” e “biodiverso”, prima ancora che astrattamente “economico”. Il “Wordl Atlas of Desertification” consente di farsene un’idea nell’osservazione della trasformazione ecologica dei luoghi. https://wad.jrc.ec.europa.eu/

n.18:”Il diritto umano al clima implica anche la rivendicazione di relazioni differenti tra esseri umani, luoghi, contesti, altre forme del vivente, in ragione di cosmogonie non antropocentriche.”

Questo vale soprattutto per il “diritto ctonio”, ossia il diritto delle comunità native (o diritto indigeno), il cui (tardivo) riconoscimento a livello internazionale ha comportato anche una rivisitazione della “toponomastica”, negata dalla colonialità del potere/sapere occidentale. Il blog “Decolonial Atlas” fornisce alcune indicazioni in merito a questo profilo, tutelato anche a livello sovranazionale, per esempio da apposite...

n.17:”Un importante studio intitolato ‘A spatial overview of the global importance of Indigenous lands for conservation’ “

Questo studio ha rappresentato l’importanza delle comunità native (i c.d. “indigeni” – puntualizzo c.d. perché la denominazione nasce dall’equivoco storico coloniale delle “Indie”) nella salvaguardia della biodiversità e delle terre ancora incontaminate, valorizzando il sapere nativo (da noi spregiativamente rubricato come “sapere non esperto”, come se “esperto” fosse solo chi “esperimenta” e non anche chi “ha esperienza”)....

n.16:”Nesso tra povertà e condizioni climatiche. La condizione di povertà multidimensionale colpisce un’ampia parte della popolazione mondiale, in ragione alle condizioni climatiche.”

I nessi sono monitorati dal “Multidimensional poverty index”, patrocinato dall’ONU. The 2030 Agenda for Sustainable Development reaffirmed the importance of multi-dimensional approaches to poverty eradication that go beyond economic deprivation. http://hdr.undp.org/en/2018-MPI

n.15:”Nesso tra povertà e condizioni climatiche. Esiste altresì una comprovata connessione tra produzione e commercio di armi e mantenimento delle condizioni di ingiustizia climatica nel mondo.”

La NGO “Corruption Watch” monitora anche questo profilo del fenomeno corruttivo del potere di fronte ai problemi della giustizia climatica. Corruption Watch is a London-based, global anti-corruption NGO founded in 2009, with a special focus on the arms trade. https://www.cw-uk.org

n.14:”Slavery Footprint”

Quanto richiamato nella precedente informazione n.13 emerge altresì dalla verifica di “impatto” dei nostri consumi che riteniamo corretti, responsabili e sostenibili, purtuttavia direttamente o indirettamente connessi con le schiavitù moderne. La Slavery Footprint svela questa cieca contraddizione sulle schiavitù derivanti dall’esercizio delle nostre libertà di consumo. http://slaveryfootprint.org/#where_do_you_live

n.13:”Nesso tra povertà e condizioni climatiche.”

Più di 40 milioni di persone vivono in una situazione di “schiavitù moderna”, dettata da diversi fattori, di cui almeno due connessi agli effetti del cambiamento climatico e della connessa “ingiustizia climatica”: le condizioni ambientali estreme che costringono a scelte di sopravvivenza non libere né volute; la produzione di “conflict minerals”, ossia di materie prime sempre più...