Appello: Free Julian Assange: un hacker come noi
175 anni di carcere se estradiato nei democratici Stati Uniti.
Si sta svolgendo in questi giorni il processo contro il fondatore di Wikileaks per decidere sulla sua sorte, per stabilire se può essere estradato e subire così un processo in America dove, secondo la giustizia di Washington, rischia fino a 175 anni di carcere. Lo accusano di cospirazione e spionaggio per aver diffuso oltre 700 mila documenti riservati fornendo notizie scottanti in particolare sull’impegno degli USA e di altre potenze occidentali in Iraq e Afghanistan, ma non solo, provocando forti reazioni e tensioni internazionali.
Vengono fuori email tra capi di Stato, servizi segreti, alti apparati diplomatici che riguardano numerosi dossier aperti che fanno tremare l’establishment: dalla rivolta tibetana in Cina allo scandalo petrolifero in Perù, dalle esecuzioni extra giudiziarie da parte della polizia keniota alle purghe del governo Erdogan.
Assange diventa così il nemico numero uno, ma la sua è un’operazione Verità. Un’attività giornalistica e investigativa senza precedenti che ha toccato le corde giuste, o forse quelle sbagliate a seconda dei punti di vista. Eppure del suo caso se ne parla sempre meno, quasi a voler spegnere i riflettori su un personaggio che ha creato troppo imbarazzo a tutti i livelli. L’informazione, in gran parte guidata da editori vicini proprio a quei pezzi più alti dello Stato, sfiora appena l’argomento anche in uno dei giorni cruciali per Assange, la ripresa del suo processo che deciderà l’estradizione.
Dall’agosto 2012 progioniero politico presso l’ ambasciata dell’Ecuador a Londra, la mattina dell’11 aprile 2019 la polizia metropolitana di Londra fa irruzione nell’ambasciata e preleva di forza Julian Assange che viene trasferito presso il carcere HM Prison Belmarsh, definito la “Guantanamo britannica”. Viene arrestato per aver violato i termini della libertà su cauzione nell’ambito di una inchiesta nata in Svezia che lo vedeva imputato per stupro di una prostituta, inchiesta poi archiviata. Secondo molti sarebbe solo un pretesto. Assange viene trattato come il peggiore dei criminali mentre dagli Stati Uniti si attivano subito le procedure per la richiesta di estradizione per i presunti reati commessi con la pubblicazione.
La “Guantanamo britannica”, così come viene definito il carcere di massima sicurezza dove Julian Assange è rinchiuso da quasi un anno e mezzo, ha duramente provato l’attivista. Dimagrito, indebolito e visibilmente invecchiato, il 49enne australiano secondo molti sarebbe stato vittima di torture. I suoi avvocati hanno più volte denunciato di non essere riusciti ad avere colloqui con lui. Fatti duramente stigmatizzati e criticati anche dall’Human Rights Institute che non ha esitato a definire “incompatibile” il trattamento carcerario a cui è sottoposto Assange con la Convezione delle Nazioni Unite contro la tortura.
Le proteste non sono servite a nulla, e d’altronde è difficile immaginare anche solo uno dei Paesi occidentali schierarsi dalla parte del fondatore di Wikileaks, lui che ha svelato intrecci pericolosi senza risparmiare nessuno. Chi dovrebbe prendere le sue difese?
Assange è un hacker (è un termine della lingua inglese che designa una persona che utilizza le proprie competenze informatiche per esplorare i dettagli dei sistemi programmabili e sperimenta come estenderne l’utilizzo), uno di noi, che abbiamo chiesto il codice dell’app Immuni del Governo, studiandone il codice.
Ci aggiungiamo a tutti gli appelli mondiali di avvocati, cover, costituzionalisti, Amnesty International, e altri per liberare Julian Assange, in precarie condizioni fisiche, forse dovute a torture.
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